Il posto che posso chiamare casa

Non me l’aspettavo che sarebbe stato di nuovo così. Di nuovo così difficile, voglio dire. Dopo tanti anni qui Italia, sono quasi quaranta ormai, non pensavo che ci sarebbero state altre notti così silenziose e senza stelle in cui non sarei più riuscita ad addormentarmi. Quando sei preoccupata, quando sei spaventata, non riesci a dormire anche se sei stanca. Alzi gli occhi verso il soffitto, poi verso la finestra, poi ti alzi e guardi fuori. E guardi la luna, e la strada, tutta vuota e così diversa da quella stessa strada com’è al mattino, quando è piena di automobili, di biciclette e di persone. E in quel silenzio pensi, pensi alla tua vita, a questo maledetto virus che ha cambiato tutto all’improvviso, che mi ha fatto perdere il lavoro, e insieme al lavoro i sogni e le speranze.

Ne avevo tanti, di sogni e di speranze, quando sono arrivata in Italia. Avevo 17 anni, e a 17 anni in Africa sei già una donna, una persona adulta. Sono arrivata con un contratto di lavoro, da sola, senza conoscere quasi nessuno. Ma sono stata fortunata, e lo so. Tanti altri ragazzi e ragazze come me, in quegli anni, sono scappati dalla guerra che c’era allora in Eritrea. Sono scappati e basta, senza sapere dove andare, senza una destinazione, senza niente. Io invece sapevo dove sarei venuta e cosa avrei fatto. Anche se non avevo mai visto una città grande come Pescara, e nemmeno potevo immaginare che esistessero dei posti nel mondo dove le luci delle case e dei lampioni coprivano quella delle stelle.

La mia terra, l’Eritrea, mi manca sempre. Anche se adesso, a parte mia madre, lì non ho più nessuno. Le mie sorelle e miei fratelli sono andati via, come ho fatto io, tanti anni fa. Conosco più gente in Italia, adesso, che non in Eritrea. Ma quando le cose si fanno difficili, come in questi ultimi due anni, ti viene da ripensare al posto da cui vieni, al tuo piccolo paese, alle sue case, alle sue strade, ai suoi alberi. A un certo punto ho preso in considerazione perfino l’idea di ritornare in Africa, tanto mi sembrava disperata la mia situazione. E poi, invece, ho incontrato chi mi ascoltato, chi mi ha compreso e mi ha aiutato. Voglio tornarci, in Eritrea, ma solo per portarci mia figlia, che ha dieci anni e in Eritrea non ci è ancora mai stata.

Pescara è il posto dove penso che vivrò per sempre. Il posto che posso chiamare casa. Stanotte ho dormito benissimo, e il cielo era di nuovo pieno di stelle.