“Rifugio è come scappare da qualcosa. Quando scappi da un posto hai sempre la speranza che lì dove andrai troverai qualcosa di migliore” ci accoglie così Mohammed, un martedì pomeriggio presso il comitato di Arci Roma.
Sereno e pacato, gli occhi fissi e grandi dietro le lenti che amplificano lo sguardo, il tono di voce placido che non nasconde il suo accento, le movenze discrete e accurate.
Vive in Italia da tredici anni e viene dal Marocco. Ha poco più di quarant’anni ed è un mediatore linguistico e culturale.
È tornato ed andato via, dalla sua terra natia, spesso. L’ultima, durante il lockdown, quando col desiderio di stabilizzarsi tenta di aprire un’attività commerciale. Le cose non vanno come previsto e si ritrova costretto a tornare in Italia con un senso di sconfitta e fallimento che mestamente inizia a camminargli di fianco. Resta ospite da un amico ma si sente inadeguato. Opprimente, ciò che prima solamente lo affiancava, comincia a crescere e un ingordo senso di malessere lo trascina velocemente. A nulla servono le suppliche delle persone care. La delusione, un inappagato senso di voragine lo paralizzano. Entra in depressione e inizia a passare le sue notti nell’abitacolo della sua macchina. Un finestrino è addirittura rotto e il freddo invernale gli impedisce di dormire. Gli si posa addosso. È un senso di brivido raggelate, non solo corporeo. Non vuole reagire. Ma non è solo, per fortuna:
“Tramite un’amica che fa teatro con me, ho conosciuto questo progetto. Vedendo la difficoltà che stavo vivendo in quel periodo, sia morale che economica, lei mi ha informato sui Circoli Rifugio” ci racconta “credendo che fosse utile per me.”
È indeciso Mohammed: è solo un altro fallimento camuffato da possibilità. Andare a vivere con una famiglia alla sua età già gli fa presagire il disagio che gli comporterebbe. Probabilmente è meglio declinare questa possibilità. Interviene, allora, un’altra voce: Simona del Circolo Arci Pietralata lo contatta e insieme ipotizzano il suo inserimento nel progetto.
È andata: si trasferisce nell’appartamento di Barbara. Il cambiamento però non porta subito benefici. L’’inizio è stato un po’ difficile. Il gelo che si porta dentro ancora gli immobilizza il cuore. E resta distante, taciturno. Cosa fare? La risposta arriva puntuale. Il Circolo Arci Pietralata gli propone di andare con loro una sera a fare un giro tra i senza tetto: ed è uno scossone. Inizia a collaborare per la distribuzione di coperte e viveri nel progetto Akkittate:
“Poter aiutare le persone che vivono per strada, fornirgli cibo e vestiti, questa cosa mi ha dato molta soddisfazione. Ho capito che la speranza c’è e mi sono sentito utile per la società. Contribuire in qualche modo mi ha dato molto coraggio per ritornare a vivere e ritornare a sperare.” Poi ha iniziato a rilassarsi: “Mi sentivo più riposato, sia moralmente che fisicamente e ho iniziato a pensare diversamente, positivamente. Mi sono detto che questa era la possibilità per cambiare la mia vita, per approfittare e fare qualcosa per me.”
Arriva poi la svolta decisiva:
“Iniziare a collaborare con lo sportello legale di Arci Roma, facendo il mio lavoro, quello di mediatore culturale e linguistico come volontario è stata una delle cose che mi ha aiutato di più.”
Fa lunghe pause, Mohammed, e il suo fluire è talmente disteso che si fa fatica a sovrapporre il racconto che ci fa di sé, risalente solo a qualche mese fa, con la persona che adesso è davanti a noi.
Abbandonare del tutto quei grigi umori non è stato semplice, e ci dice: “Se chiedi adesso a Barbara di descrivermi com’ero quando sono arrivato e come sono oggi ti dirà che c’è molta differenza. Sono molto cambiato. Della frase -Nessuno si salva da solo- il valore posso capirlo soltanto ora.”
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